@Trace:
Bè la differenza tra dire che "dio" immane alla materia, e dire che dio è nella materia m sembra una differenza al limite dell'inesistente.
Infatti tutti i filosofi moderni convinti di dire chissà quale nuova verità, altro non fanno che ritirare fuori le teorie antiche.
Tra Eraclito, Platone, Aristotele, Pitagora e Seneca, ci sono differenzi e nella forma e molto poco nei contenuti, il concetto fondamentale che il metafisico immane al fisico, e che ci sono strette analogie tra i due, è presente in tutti gli autori.
Poi la storia del culto romano è lunga, e i filosofi molti. Io personalmente mi considero un misto tra il Pitagorismo e lo Storicismo, ma così è oggi come 2000 anni fa, non esiste un canone unico.
Del resto le terre non sono tutte uguali, ce ne sono di più argillose, di più sabbiose, o di vulcaniche, e non ovunque la stessa pianta cresce allo stesso modo! (vedi sotto
)
Quindi ecco la tua risposta
@Taliesim:
ti ha risposto in modo perfetto Trace.
E nello specifico quando cita:
<un insieme di tradizioni, di riti, di racconti, di abitudini e di cerimonie che
vengono coltivati da un certo gruppo di persone e che vengono trasmessi di generazione in generazione>
Qual'è il prototipo a cui aspirano i romani?
L'agricoltore, ovvero colui che coltiva la terra, e analogicamente che coltiva il rapporto con gli Dei, dare-avere. E altra cosa improtante la comunità. Tu pratichi per te stesso perché coltivi, e pratichi invece come dovere per la comunità.
Il prototipo del romano chi è?
Furio Camillo.
Ingiuriato a Roma, viene cacciato via, si mette a coltivare il suo campo, poi viene richiamato quando nel 390 Roma viene invasa dai celti, questo libera Roma, convince i romani a non abbandonare <la città dei padri> (ecco che torna il senso generazionale), e dop aver fatto tutto questo prende e se ne torna a zappare la terra.
Infatti non c'è nessun autore latino che non esalti l'uomo di campagna, e che aspira a zappare la terra!
Catone ne ha fatto un intero libro a riguardo!