| Eccomi qua... i giorni scorsi ero un po' piena di lavoro, quindi non ho potuto dilungarmi più di tanto.
Probabilmente sembrerà che questo post c'entri inizialmente poco col tema "Lucifero", ma in realtà secondo me è stata proprio la demonizzazione delle entità veneree operata dai popoli semitici a far emergere, nel tempo, una connotazione negativa anche della figura di Lucifero, che, per quanto fosse una divinità romana, è pur sempre una figura legata all'astro splendente e alla torcia dell'aurora. Per capire meglio il discorso che segue (e che ritroverete, se vorrete, in un articolo che uscirà sul prossimo numero della rivista Elixir della Rebis, attualmente in pubblicazione) è necessario fare però delle premesse: i primissimi antenati di Lucifero li troviamo presso i Sumeri, al tempo in cui le popolazioni semitiche (i cui primi migranti in Mesopotamia furono gli Akkadi, i quali però, a differenza delle ondate d'invasioni successive, s'integrarono con le popolazioni preesistenti e non demonizzarono gli dèi di nessuno) non avevano preso il sopravvento culturale sulle popolazioni sumeriche.
Presso i sumeri troviamo due figure distinte, che col tempo diverranno una sola: da un lato, abbiamo la dea legata a Venere, Inanna (che in lingua semitica è Ishtar); dall'altro, abbiamo la figura del dio della saggezza e delle acque che, contro il volere del dio dei cieli, portò la civiltà e le arti alla razza umana: il dio Enki (che più tardi sarà chiamato Eà, sempre in lingua semitica). Il mito della civilizzazione della terra da parte di Enki lo troviamo nel poema di Atrahasis, rinvenuto nella biblioteca di Assurbanipal e composto nel 1646-1626 a.C., ma che a sua volta riprende la mitologia sumerica che è ben più antica. Qui vediamo che un dio, pari del dio dei cieli nonché suo fratello, si schiera dalla parte dell'umanità, che Enlil invece vorrebbe vedere distrutta: Enlil infatti manda diverse piaghe, tra cui la carestia, le tempeste e il diluvio universale, per sbarazzarsi degli uomini; ogni volta, Enki consiglia al saggio tra gli uomini, Atrahasis, come sfuggire alle maledizioni di Enlil, che ovviamente si adira anche con lui.
Ebbene, se confrontiamo questa versione antica con le successive manipolazioni del mito della civilizzazione della terra, vediamo che nella tradizione semitica, ad esempio nell'apocrifo biblico del libro di Enoch (perché, attenzione!, nella Bibbia non c'è il mito della caduta degli angeli ribelli!!!), scritto in paleo ebraico, non è più un dio a civilizzare la terra, bensì un angelo ribelle, Semyaza, insieme ai suoi seguaci, che verranno precipitati nell'abisso. Da qui intravediamo un primo degrado di questa figura. Più avanti nel tempo, come sappiamo, i civilizzatori dell'umanità saranno ulteriormente degradati: non più dei o angeli, ma eroi (Prometeo, Atlante e via dicendo) che saranno puniti e incatenati per l'eternità.
Dall'altra parte abbiamo la figura di Inanna, il pianeta Venere, conosciuta in Mesopotamia anche come Ishtar, Astoreth, Astarte e 'Athtar nella versione maschile presente in sud arabia. A questo proposito bisogna riflettere su come i semiti potevano vedere il clero di Inanna: infatti, prima ho parlato della migrazione delle popolazioni semitiche in Mesopotamia, perché i semiti erano inizialmente nomadi. E' storicamente provato che essi introdussero nella loro religione, così come risulta raccolta nella Bibbia, moltissimi miti e usanze che trovarono presso i popoli mesopotamici. Mircea Eliade, in proposito, è molto chiaro quando fa notare che in nessun altro modo si spiegherebbe come un popolo che fu nomade fino a poco tempo prima avesse potuto, in pochissimo tempo, ottenere una conoscenza così perfetta dei cicli naturali, inventare un calendario con tanto di feste agricole, dato che prima vivevano nel deserto.
Ma tanto quanto i semiti presero dai Sumeri, quanto poi rinnegarono quel popolo, con la sua cultura, e demonizzarono i loro dèi, specialmente quelli di stampo venereo. Non era infatti accettabile, per una tribù di stampo patriarcale e rigidamente gerarchizzata per sopravvivere nel deserto, che il clero di Inanna/Ishtar operasse riti di stampo sessuale, con chiare allusioni all'unione amorosa. Come se non bastasse, in una delle principali e più sacre cerimonie di questo clero, le sacerdotesse si vestivano da uomini e i sacerdoti da donne, in modo da simboleggiare la doppia polarità del pianeta Venere: quando il pianeta si levava al mattino era maschile, e dominava la stagione della guerra. Quando invece sorgeva alla sera, annunciava la stagione delle piogge, della fecondità e dell'amore. Vi fu quindi un divieto assoluto, per gli ebrei (il cui culto di Yavhé si stava formando, e la cui divinità principale era il dio El="signore"), di presenziare a tali cerimonie religiose, di seguire il culto "maledetto" e addirittura di mischiarsi a quella gente. Il nome di Ashtoreth divenne Astaroth nella Bibbia (quello che oggi chiamano "demone", ma che conserva i caratteri di Venere): cambiando le vocali, il nome della Dea prese l'assonanza con la parola "abominio", e come tale è sempre citata: "l'abominio Asthoreth", o direttamente "Astaroth". Di tutto questo potete trovare documentazione nel saggio di Barton, "Ashtoreth and her influence in the old testament", reperibile anche online.
Come avrete già capito, i due volti di Venere sono gli stessi che troviamo a Roma in Lucifer e Vesper, i due volti della stella del mattino, che in Mesopotamia si chiamavano appunto "sahar e shalim". A questo punto possiamo anche spiegarci perché, nel passo biblico di Isaia sulla caduta del re di Babilonia, si parla di "helel ben sahar" (=astro splendente figlio dell'aurora), che è stato precipitato nell'abisso... e possiamo anche capire perché, maccheronicamente, helel ben sahar viene tradotto con Lucifero: si tratta sempre dello stesso archetipo venereo, portatore di civiltà, che fu demonizzato.
Non è finita qui, perché ci mancano due cose da spiegare e da provare: 1) perché Venere è anche portatrice di civiltà, dato che all'inizio le due figure erano distinte (Inanna e Enki) 2) se ci sono testi antecedenti alla Bibbia, nonché passi biblici, che provino il fatto che è proprio l'archetipo venereo quello che si vuole far precipitare nell'abisso
Alla prima domanda si potrebbe rispondere che il patto tra Enki e Atrahasis (il saggio umano a cui Enki trasmette la sua conoscenza magica) è sigillato attraverso la stella del mattino (Venere, appunto) che è preposta a vegliare sul patto tra gli uomini e il dio della saggezza e delle acque, Enki. Di questa alleanza è testimone e custode la dea sumerica che viene chiamata "Belet-Ili", cioè "signora degli dei", che altro non è che il titolo con cui viene definita Inanna/Ishtar, signora degli dei o, altrove, regina degli dei.
Alla seconda domanda, invece, risponderei citando direttamente il testo biblico e un suo antecedente identico, che è stato ritrovato a Ugarit. Ugarit è una città ubicata sulla costa della Siria (oggi si chiama Ras Shamra), che esisteva come città organizzata almeno dal 3000-4000 a.C.; proprio lì l'invasione semitica si rivelò stabile e proprio lì il culto di El/Yahvé soppiantò gli altri dei, col tempo addirittura il dio Ba'al. Il testo citato narra della morte di Ba'al che rese il trono degli dei vacante; gli altri dèi, ed El in particolare, si chiedono chi avrebbe potuto prendere il suo posto. Il testo parla della caduta di 'Athtar, dio maschile legato a Venere e, anche lui come Enki, dio delle acque (in lui infatti ritroviamo riuniti gli aspetti di Venere portatrice di civiltà e venere astrale).
"Dopo di ciò ‘Athtar il Terribile scala il monte Saphon; Egli prende possesso del suo seggio sul trono di Ba'al il Potente. I suoi piedi non arrivano al poggiapiedi, la sua testa non raggiunge la cime del trono. Poi ‘Athtar il Ribelle dichiara, Io non sarò re sul monte Saphon. ‘Athtar il Terribile scende, giù dal trono di Ba'al il Potente, e diventa signore di tutto il vasto mondo "sotterraneo" [altra traduzione potrebbe essere "terrestre"]"
Ecco, invece, il passo di Isaia sulla caduta del nostro "Lucifero"/helel ben sahar:
"Come mai sei caduto dal cielo, [o Lucifero], figlio dell'aurora? [lett.:helel ben sahar] Come mai sei stato gettato a terra, tu che atterravi le nazioni? Tu dicevi in cuor tuo: "Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio; mi siederò sul monte dell'assemblea, nella parte estrema del nord; salirò sulle parti più alte delle nubi, sarò simile al Signore". Invece sarai precipitato nello Sceol, nelle profondità della fossa"
Ecco, quindi, pressappoco, la storia della demonizzazione degli archetipi venerei da parte dei popoli semitici, e la ragione delle storielle sulla caduta degli angeli ribelli (che nella Bibbia non si trovano e che rinveniamo solo in un apocrifo, il Libro di Enoch, nel quale tuttavia non si parla di Lucifero ma di Semyaza).
L'unica traccia che rimane del mito sumerico nella Bibbia, è in Genesi 6, 1-7, che parla dell'unione delle figlie degli uomini con gli angeli che, a quanto risulta dagli apocrifi e dai testi più antichi, insegnarono loro le Arti e la magia, portando la civiltà e la saggezza alle loro spose.
"1 Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie, 2 avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte. 3 Il Signore disse: «Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l'uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni». 4 In quel tempo c'erano sulla terra i giganti (in originale: NEPHILLIM), e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini, ed ebbero da loro dei figli. Questi figli sono gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi. 5 Il SIGNORE vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. 6 Il SIGNORE si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. 7 E il SIGNORE disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti». (Genesi 6, 1-7)
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