stanno si alla base della romanità, ma il discorso è complesso.
Il romano non ragionava come noi oggi, ma in modo totalmente diverso.
Per i Romani era come se non esistesse il singolo, o meglio esisteva in funzione della comunità, a livello di "gradi".
Quindi tu Trace, non eri tu singolo individuo, ma eri Trace romano (ovvero la tua persona in funzione della comunità), dopodiché eri Trace in funzione della tua gens (una sorta di famiglia allargata), poi eri Trace in funzione dei tuoi
parens (genitori, e fratelli) e in fine eri Trace in funzione di te stesso.
Cosa significa questo, che per il Romano se i Maiora, che erano parte della comunità, se li violi sei un sacrilego, ma non era il maiora in se ad essere divino ma il fatto che sia parte della tua comunità.
E' difficile da capire, per fare un esempio odierno.
E' parte dei "maiora" odierni il fatto di non scrivere sui muri, se fossimo stati dei Romani se scrivevi su un muro saresti stato un sacrilego NON perché hai compiuto quest'azione, ma perché essendo regola comune tu sei andato contro la legge, e poiché la legge è consacrata alla Triade Capitolina, sei un sacrilego.
Ma i romani erano coscienti che le leggi cambiano, e quello che oggi è illegale un tempo non lo era, quindi per loro è giusto rispettare i maiora in quanto legati alla comunità e non perché le loro regole siano divine in se per se.
Questo discorso si lega nella differenza tra Etica e Morale.
L'Etica è una sola ed è quella di mantenere la parola data, ed è l'unica cosa sacra, che si mantiene in eterno.
La Morale invece varia nel tempo, e non ha in per se stessa un valore sacro.
Per altro è un argomento molto complesso, e si cade nella nuova iniziativa di Tell The Owl (dove ho intenzione di scrivere un mio articolo a proposito), dove ci si arriva a porre una domanda:
In un'ottica antica, dove il singolo era in funzione della comunità, e dove la comunità è sempre legata ad un divino (le città avevano un proprio dio, le famiglie ne avevano, gli stati l'avevano etc.), scegliere di far parte di una determinata comunità fa si che diventi dissacrante violare le sue regole, i suoi maiora.
Capisco che sia difficile da capire, in effetti lo è molto, ma per capirlo devi partire da presupposti totalmente diversi.
Ti faccio un esempio, Lucio Licinio Bruto, console fino al 509esimo anno prima dell'era volgare (ovvero 244 A.V.C= ab Vrbe còndita= dalla fondazione di Roma) -agli inizi della Repubblica- (quindi in piena età storica, e pertanto decisamente attendibile come fonte) mandò a morte i suoi due figli perché avevano complottato per il ritorno dei Tarquini sul trono (quando ricordiamo che i Romani giurarono che non sarebbe mai tornato un Re sul trono di Roma!), e nonostante la folla impietosa implorò che il figlioletto venisse graziato lui lo mandò a morte ugualmente.
Questo perché il Senato e il Popolo Romano (Senatus Popolusque Romani) giurarono che non avrebbero mai permesso a nessun re di tornare sul trono, e quindi per aver violato la parola, e poiché lo Stato era più importante della gens di appartenenza e dei parens quel figlio traditore della patria, del padre, e peggio di tutto della parola data venne condannato a morte senza pietà.
Abbiamo anche numerose donne che si sono suicidate perché violentate per la "vergogna" di essersi trovate -seppur costrette- a letto con altri uomini, nonostante avessero giurato fedeltà al marito.
Questo è il valore della parola, questa è l' Etica.
La morale invece non veniva mai punita così duramente. Infatti molti traditori, se non erano membri di spicco che avevano prestato giuramento di fedeltà, spesso venivano mandati in esilio e confiscati i loro beni, davvero di rado mandati a morte.
Non so se forse è più chiaro così o.O
Ripeto, è un argomento complesso perché è parte di una mentalità totalmente diversa dalla nostra, per noi tra etica e morale non c' è differenza, e per noi le regole sono "giuste" a priori e la punizione è sempre uguale senza tener conto della parola che uno da. Che invece sarebbe la cosa più importante.
Se ancora non è chiaro, chiedi pure