Yemaja

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view post Posted on 2/8/2010, 12:37

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Nella mitologia yoruba, e nei culti correlati afroamericani come il Candomblé e il Vodun, Yemaja è la madre di tutti gli Orisha. A seconda della tradizione, viene indicata anche come Imanja, Jemanja, Yemalla, Yemana, Yemanja, Yemaya, Yemayah, Yemoja, Ymoja e in altre varianti. È la regina del mare; si invoca per protezione (in particolar modo delle donne incinte), purificazione e aiuto in generale, chiedendone la manifestazione nel suo aspetto più materno; un altro aspetto di Yemaja, quello distruttore, è simboleggiato dal mare in tempesta.

La tradizione narra che Yemaja sia nata dalla spuma del mare, come (Venere); la sua figura si può far corrispondere a quella generale della "Grande Madre", propria di numerose tradizioni.

Ha insegnato l'amore a tutti gli Orisha, è sposata con Babalú Ayé. Tra le caratteristiche che la contraddistinguono vi sono la passione per la caccia, l'astuzia, l'indomabilità, la collera, la severità, l'allegria. Le sono associati i colori bianco e blu e il sabato; nei sincretismi viene identificata con la Vergine della Regola. I suoi fedeli, prima di pronunciare il suo nome, devono toccare con i polpastrelli la polvere della terra.

Tra i suoi attributi vi sono la luna e il sole, l'ancora, il salvagente, le scialuppe. Veste abitualmente con una lunga veste azzurra con serpentine simboleggianti il mare e la spuma e regge un ventaglio adornato con conchiglie.[1]

Dea madre e patrona delle donne, specialmente di quelle in gravidanza, è patrona anche del fiume Ogun, le cui acque si dice che riescano a curare l'infertilità. I suoi genitori sono Oduduwa e Obatala. Suo figlio Orungan la violentò una volta e ci riprovò una seconda; per impedire questa violenza, Yemaja esplose dal proprio ventre quindici Orisha, inclusi Ogun, Olokun, Shopona e Shango.

Tra gli Umbanditi, Yemaja è la dea dell'Oceano e dea patrona dei sopravvissuti ai naufragi.

madre della vita, signora del mare, fonte fondamentale di vita. Le piace cacciare e maneggiare il machete, è indomabile e astuta, i suoi castighi sono duri e la sua collera terribile, ma giustiziera, ma è anche madre dolce che ascolta le richieste dei suoi figli e si preoccupa per il loro sostentamento. I suoi colori sono il blu e il bianco, veste con sette gonne sovrapposte, un corpetto blu con serpentine bianche e una cinta con un rombo che copre l’ombelico. Nel suo cammino di Yembò e di Odduà nascono tutti gli Orisha. E' madre della vita, per questo governa le acque e rappresenta il mare.

Yemayà è colei che crea e, quando una donna è incinta, fa le rogaciòn e prega lei, perchè la creatura nasca bene. In Yemayà nasce l'amore, non a caso lo ha insegnato a tutti gli Orisha. E' stata moglie di Babalù Ayé, di Agallù, di Orula e di Oggùn.

E' più importante di Oya, che rappresenta l'aria, perchè questa arriva dagli oceani, dai mari. E' indomabile e astuta. I suoi castighi sono duri, la sua collera terribile, però sempre agisce con giustizia. Ama la buona compagnia; è una buona madre, allegra e sanguigna.



Chi è consacrato a lei non può pronunciarne il nome prima di aver toccato terra con i polpastrelli delle dita e baciato in loro l'impronta della polvere. Tra i suoi attributi ci sono la luna e il sole, l'ancora, i salvagente, le scialuppe e altri oggetti lavorati in argento, acciaio, latta e piombo. C'è un'apposita campanellla per salutarla e per attirare la sua attenzione. La sua collana è fatta da cristalli azzurri e indossa una lunga veste dello stesso colore con serpentine azzurre e bianche, simbolo del mare e della spuma. In mano generalmente tiene un ventaglio in oro e madreperla, adornato con perline e conchiglie. Nel ballo si annuncia con una risata fragorosa e poi gira come le onde o i mulinelli dell'oceano. A volte rema, mentre altre sembra che nuoti, ma sempre inizia piano piano per aumentare l'intensità del ritmo come per le ondate minacciose. Protegge le persone che hanno problemi al ventre, soprattutto se derivati dall'acqua (dolce, salata, pioggia, umidità, ecc.).
Insieme a Changò e a Ochun è tra le preferite dai cubani. Viene sincretizzata con la Vergine di Regla, la patrona della Baia dell'Avana.
 
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view post Posted on 20/8/2010, 19:05

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Yemaya, conosciuta anche con i nomi di Yemaja, Iamanjà, Imanja, Jemanja, Yemalla, Yemana, e molti altri, è un'Orisha femminile appartenente alla tradizione afro-caraibica, nonchè alla vastissima mitologia yoruba, ed è venerata nella Santeria, nel Candomblè e nel Vudù.
Ma cos'è, innanzitutto, un Orisha?
Gli Orisha, chiamati alle volte Orixà o Caboclos, sempre nella tradizione afro-caraibica presente in vari Paesi, dall'Africa, appunto, sino al Brasile, a Cuba, alla Repubblica Dominicana, eccetera, sono semidivinità, spiriti delle foreste, della terra e del cielo. Secondo la mitologia yoruba, in tutto sono seicento.
Yemaya è la madre di tutti gli Orisha, ed è invocata generalmente per protezione, per purificazione, ma anche per favorire le donne che hanno difficoltà a concepire, o le stesse partorienti. Si dice che fosse in origine una Dea dei fiumi, un potente spirito della Natura, proveniente dall'entroterra nigeriano.
Viene comunque considerata una Dea Madre, che cela in sè anche un aspetto distruttore, mortifero, simboleggiato dal mare, o dall'oceano, in tempesta. Quindi una Dea completa.
E' colei che crea, è madre della vita, e governa le acque degli oceani, dei mari, e dei fiumi che conducono al mare. E poiché si ritiene che la sua vita abbia avuto inizio nel mare, si crede anche che tutta la vita sia iniziata con Yemaya. Ma è anche una divinità che ama la caccia col machete, è astuta e indomabile, i suoi castighi sono duri e la sua collera terribile. Eppure sa essere allegra e amorevole, poichè è stata proprio lei ad insegnare l'amore a tutti gli Orisha, e per loro ha sempre una parola di conforto.
Nata da Odudua (da non confondere con Odudwa, che era un condottiero orisha), e da Obatala, venne violentata da Orungan, uno dei suoi figli, che ci riprovò una seconda volta; per impedire quest'altra violenza, Yemaya partorì (alcuni dicono morendone) quindici Orisha, inclusi Ogun (il fiume), Olokun (la profondità dell'oceano), Shopona e Shango (il tuono). Un altro componente della sua numerosa prole è Babalú Ayé (noto anche con il nome di Omolu, Shonponno, Obaluaiye), che assume anche il ruolo di sposo della Dea, sebbene pare ce ne siano stati altri, sia prima che dopo di lui. E' associato alle malattie infettive e contagiose e viene quindi invocato per curarle, e si ritiene che sia il re della terra, da egli stesso creata. Interessante notare il fatto che i fedeli di Yemaya, prima di pronunciarne il nome, devono toccare con i polpastrelli la polvere della terra. Ciò potrebbe far pensare ad un atto simbolico di equilibrio tra acqua e terra, di unione (o ri-unione), evocato dal gesto in sè.
Tra gli attributi di Yemaya vi sono la luna e il sole, l'ancora, il salvagente, le scialuppe, le conchiglie. Le sue pietre sono l’acquamarina, il lapislazzuli, e tutti i cristalli del colore del mare, oltre alle perle, i coralli e la pietra di luna. Tra le offerte a lei care ci sono in particolare i meloni e le angurie. I suoi simboli sono una stella a sei punte, una conchiglia aperta, tipico emblema muliebre, e la luna. Pare anche che ci sia un'apposita campanella per salutarla e per attirare la sua attenzione. Viene generalmente raffigurata con una lunga veste azzurra con serpentine che richiamano il mare e la spuma, e con in mano un ventaglio adorno di conchiglie; tuttavia le sue rappresentazioni possono cambiare a seconda dell'aspetto in cui viene evocata.
Nel Candomblè brasiliano, dove è conosciuta come Yemanja o Imanje, è la madre che porta i pesci ai pescatori, e il suo simbolo è la luna crescente. Come Yemaya Afodo, sempre in Brasile, protegge le navi che viaggiano per mare. In alcune parti viene anche onorata quale Dea degli oceani e festeggiata nel solstizio d’estate, mentre nel nord-est del Paese il suo festival è il 2 febbraio (giorno dedicato anche a sua figlia Oya); in questo giorno le folle si riuniscono sulle spiagge di Bahia per celebrare una cerimonia dove si offrono saponi, profumi e gioielli, gettandoli in mare per Lei. Vengono inoltre gettate lettere di richieste alla Dea, e la gente aspetta di vedere se queste sono accettate o rimandate a loro con le onde.
In quanto Dea dell'Acqua, marittima o fluviale che sia, Yemaya è certamente una Dea del Cambiamento, della Rinascita, della Guarigione sia fisica che spirituale, ma anche dell'Ispirazione. Lei dona sostegno e amore, e i suoi impulsi materni nei confronti degli esseri umani, oltre che dei suoi figli, sembra siano senza pari.
Secondo una leggenda, il primo dono di Yemaya all'umanità è stata una conchiglia in cui la sua voce potesse essere sempre udita; ancora oggi, accostando un orecchio ad una conchiglia si può ascoltare un rumore come di onde, e pare appunto che questa sia la voce di Yemaya, la voce dell'oceano.

Statua Votiva di Yemaya

Lilithien


Vaticinatio: yemaya
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giovedì, 23 aprile 2009
Merlino e il Culto Arboreo

Il personaggio all’oggi noto come Merlino, assume, in realtà, differenti nomi e aspetti nel corso dei secoli e nelle varie leggende, ma l’archetipo del bardo, veggente e druido in preda alla Follia Profetica, a causa della quale è costretto a vivere nel folto dei boschi come Uomo Silvestre, è il medesimo ed è ampiamente riconoscibile in ognuna di esse; nelle varie narrazioni, difatti, si nota come egli passi la maggior parte del suo tempo tra le foreste, lontano dalla civiltà e dalla sua caotica nonché superficiale esistenza, trovando così riparo spirituale nell’abbraccio delle fronde degli alberi e nella contemplazione della vita degli animali selvatici. Questo suo profondo attaccamento allo stile di vita selvaggio, i vari tipi di alberi spesso citati, e il rapporto, sia fisico che simbolico, che spesso viene a crearsi tra il Veggente e l'albero stesso, lasciano dedurre che nelle suddette leggende vi sia una qualche reminiscenza dell’antico culto arboreo dell’era pre-cristiana.

Myrddin


Nel suo Vita Merlini, Geoffrey di Monmouth narra di come Merlino, in preda alla follia, corra a nascondersi tra i frassini, dove darà inizio alla sua esistenza di uomo selvaggio, nutrendosi di bacche e radici, e comportandosi come se fosse un animale. Nel corso della storia, lo si può osservare mentre va a rifugiarsi all’ombra di alcune querce, sfuggendo così ad un viandante che l’aveva casualmente scorto per via dei suoi canti e lamenti. Infine, un inviato della sorella, avente il compito di ritrovarlo e di ricondurlo a casa, lo trova beatamente adagiato sotto ad un nocciolo, nei pressi di una sorgente. Analizzando brevemente le varie simbologie di questi tre alberi, si può azzardare l’ipotesi di un Percorso Iniziatico basato sugli insegnamenti profondi del Frassino, della Quercia e del Nocciolo.
Il Frassino è l’albero degli Inizi e della Vita, fonte di saggezza cosmica, connesso alle acque ed alla femminea Luna, ma anche al Sole e quindi al lato maschile, e avente la capacità di apportare equilibrio interiore, guarigione sia fisica che spirituale, e di favorire la rinascita. Nella mitologia nordica, l’Yggdrasil, il Frassino del Mondo, veniva raffigurato come un albero immenso, i cui rami si snodavano verso l’immensità del cielo, mentre le radici scendevano nelle oscurità degl’Inferi, in modo da sostenere e rigenerare l’universo; questa visione potrebbe stare ad indicare una connessione spirituale da parte di quest’albero tra il piano materiale, o della mente, e quello dell’anima, dal quale prende nutrimento. E’ perciò evidente, in questo caso, il suo ruolo di “ponte” tra la mente di Merlino e la sua anima antica, portandolo così ad avere visioni ed estasi che ad occhi profani possono apparire come mera pazzia.
Volgendo lo sguardo verso la simbologia della Quercia, notiamo come anch'essa venisse considerata una sorta di "porta" d'accesso ai Mondi, e come in molte tradizioni fosse tenuta in grande considerazione quale albero oracolare. L'essenza spirituale della Quercia possiede la capacità di apportare grande forza interiore, atta a governare sé stessi, e donando così equilibrio e vigore sia fisico che psicologico; tutte qualità che al Merlino in preda alla Follia giungono come un corroborante elisir, in grado di concedergli la fermezza e la lucidità necessarie alla comprensione personale dei propri vaticini. Inoltre, la Quercia è anche un albero guerriero, che dona protezione e stabilità, che risveglia la nostra parte più forte e combattiva, e che ci infonde coraggio, energia vitale e ispirazione.
Ma è il Nocciolo che vede il cambiamento finale di Merlino, quello che lo porterà a seguire il suddetto inviato della sorella per fare temporaneamente ritorno tra la gente comune. Qui Merlino appare più sereno, meno selvaggio, la sua Follia si è un poco placata, o meglio equilibrata, e lo si ode cantare una sorta di preghiera, una riflessione sulla natura delle stagioni e sulla relativa rigidità dell'inverno. Quest'albero, infatti, è da sempre l'emblema della Conoscenza profonda, della Saggezza e dell'Ispirazione proveniente direttamente dagli Dei. La sua aura "rinfrescante" e giovanile è in grado di connettere la mente con quella parte dell'anima innocente e luminosa, chiamata "bambino interiore", in grado di riconoscere la vera Magia che si cela oltre la materia. Il Nocciolo è particolarmente legato alle acque, ed è perciò interessante notare la presenza del ruscello al fianco di Merlino, simbolo di guarigione fisica, mentale e spirituale, ma soprattutto ennesima simbologia di un "varco" che collega il mondo umano con quello Divino, quale è l'acqua nella tradizione celtica. Forse, in questo caso, il Nocciolo potrebbe rappresentare l'avvicinarsi della meta finale del Percorso del profeta.
Un altro dei possibili volti di Merlino lo troviamo nel personaggio di Myrddin il Bardo, poeta gallese che ci parla in prima persona nelle poesie a lui attribuite. Anch'egli, come il Merlino di Geoffrey di Monmouth, viene visto come un "uomo selvaggio", un "folle", che ama profetizzare nella quiete delle foreste. Nella poesia dei Meli, lo vediamo rivolgersi a questi alberi come se parlasse a delle persone, quasi ad indicare quanto fosse integrato nel suo ruolo di Uomo dei Boschi, e il fatto che ormai appartenesse ad un mondo al di fuori di questo. Questo suo comportamento riporta alla mente le trance degli sciamani, i quali, durante le loro estasi, sono in grado di visitare mondi ritenuti al di sopra di quello ordinario. Il Melo, secondo la tradizione, è l'albero fatato per eccellenza, Iniziatore e dispensatore di Saggezza e Conoscenza, i cui frutti racchiudono la simbologia dell'Altro Mondo. Nella mitica Asgard, città degli Dei della mitologia norvegese, vi erano delle mele magiche che donavano l'eterna giovinezza, e questo ci riporta al concetto di Bambino Interiore, sempiternamente puro e limpido. Il Melo è inoltre l'albero sacro dell'Isola di Avalon, terra di incanti e guarigioni spirituali, nonché dimora di splendide Donne conoscitrici dei Misteri universali. Senza dimenticare il frutto proibito della biblica vicenda di Adamo ed Eva, il quale concedeva la Sapienza di Dio. Esso dona la Vita, la Rinascita, il "furor poeticus", ovvero l'Ispirazione del poeta portata dalle Muse. E, nuovamente, troviamo in esso la capacità di connettere il veggente con gli ancestrali Mondi dello spirito.
In un'altra poesia, vediamo Myrddin dialogare con un piccolo maiale, più probabilmente un cinghialotto, animale sacro ai celti che ben rappresenta lo stato interiore selvaggio del Bardo, e la sua connessione con il volto divino della natura.
Altri due personaggi leggendari che vengono solitamente affiancati alla figura del nostro Merlino, sono Lailoken e Suibhne Geilt. Le loro leggende appaiono, in realtà, molto simili al resoconto della Vita Merlini, ma quest'ultimo è con tutta probabilità un testo successivo. Sia nella storia di Lailoken che in quella di Suibhne, possiamo osservare come ambedue vengano posseduti dalla pazzia a causa delle atrocità della guerra a cui stavano partecipando, proprio come il Merlino di Geoffrey di Monmouth. Nel caso di Suibhne, la follia è apparentemente provocata da un anatema lanciatogli da San Ronan, ma questa si attua solamente all'inizio della suddetta battaglia. Ormai folli, fuggono nel folto della foresta, dove vivono un'esistenza selvatica e animalesca. Suibhne in particolare descrive i suoi stretti rapporti col mondo animale e vegetale, che gli ispira lodi alla bellezza degli alberi e della natura, alla freschezza delle acque, ed alla grazia degli animali. Le sue odi sono dedicate a querce, ontani, salici e betulle, tutti ritenuti in grado di avvicinare l'essere umano alla divinità, e ad altri numerosi alberi e arbusti che si ritrovano senza difficoltà nella vasta simbologia celtica. Possiamo notare come la sua follia sia più gioiosa, più armoniosa, rispetto a quella del Merlino presentato da Geoffrey, nonostante anch'egli soffra dinanzi ai rigori invernali. Un attento esame va tuttavia rivolto verso l'albero in cui egli pare abbia scelto di dimorare dopo aver rinunciato alla vita con gli esseri umani, ovvero il Tasso. Le antiche tribù teutoniche dedicarono a questo maestoso albero la tredicesima runa, Eiwaz o Ihwaz, che rappresenterebbe sia la Morte che la Rinascita. Secondo Graves, il Tasso è associabile al Solstizio d'Inverno, momento dell'anno in cui il Sole muore e contemporaneamente rinasce a nuova vita. Simbologia perfetta per il caso di Suibhne, che muore come essere umano per rinascere come Uomo Selvatico. Tra le popolazioni indoeuropee, è uso comune dipingersi sulla fronte un piccolo punto colorato, chiamato bindhi, simboleggiante il Terzo Occhio, grazie al quale si possono ottenere stati di coscienza elevati. Nella cultura celtica il Tasso possedeva il ruolo di legno principale per l'intaglio delle rune ogamiche, poiché portatore di Conoscenza superiore. Suibhne potrebbe aver scelto quest’albero per favorire lo sviluppo e l’accrescimento del suo stato di folle veggente.
Un altro dei possibili volti dell'Uomo Selvaggio, è quello di Myrddin Wyllt. Costui era figlio di un uomo di nome Morfryn, e soffriva di stati alterni di pazzia che, infine, lo costrinsero ad una solitaria vita nei boschi. Nel testo si accenna al fatto che avesse il dono della profezia, la quale si manifestava, però, solamente durante i rari momenti di sanità mentale. In questa narrazione, la presenza di alberi viene in verità citata dalla sorella di Myrddin, Gwendydd, la quale possiede a sua volta il dono della veggenza, ma è il fratello che aiuta la fanciulla nell'interpretazione dei suoi sogni profetici. Cosa che lo rende indiscutibilmente legato alla Conoscenza arborea.
Secondo Jean Markale vi è, altresì, una possibile connessione tra il personaggio di Merlino e quello di Gwydion, l'Incantatore figlio della Dea Don e nipote di re Math, presente nelle leggende gallesi del Mabinogion. Entrambi, difatti, sono legati alla magia della foresta, in quanto Gwydion durante la battaglia mitologica raccontata nel Libro di Taliesin e chiamata Cad Goddeu, "Lotta degli Alberi", è colui che trasforma i bretoni in alberi e arbusti. Inoltre, pare che il suo nome derivi dalla radice "gwydd", o "wydd", che significherebbe bosco. Ambedue esperti di incanti e illusioni, e ambedue profondamente legati alla vita selvatica, dal momento che Gwydion stesso venne trasformato da Math in tre diversi animali, in seguito ad una punizione.
A sua volta, nel nome di Merlino si scorge la familiarità con il mondo selvatico dei boschi e delle foreste; sempre secondo Markale, è possibile accostare il suo nome con la parola inglese del XII secolo "merilun", ovvero "merlin" in inglese moderno, che significa "smeriglio", qualità di falcone molto nota a quell'epoca. Propone, inoltre, un accostamento con il francese "merle", ovvero "merlo", ponendolo in questo caso come aggettivo, a causa del carattere tipicamente sbeffeggiatore e impertinente del Merlino Incantatore delle saghe arturiane.
Ad ogni modo, nei vari suoi aspetti e comportamenti, scorgiamo in Merlino il volto solenne dello Sciamano, del Druido, di colui che possiede la Scienza degli Alberi, il quale intraprende il proprio Viaggio Estatico attraverso la fusione dell'Anima e del Sé con l'essenza degli alberi a cui si rivolge, o dentro a cui vive, protetto da occhi indegni nell'imperscrutabilità della propria cristallina torre, che altri non è se non il Nemeton, la Sacra Radura pregna di magia divina.

Lilithien


 
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Mangalawolf
view post Posted on 16/11/2011, 16:04




Vorrei aggiungere che Yemaja è anche conosciuta come Mami Wata in altre tradizioni ed è la protettrice delle donne incinte, infatti la si può chiamare per riti di protezione delle donne in gravidanza, posso dire per la mia esperienza che ha funzionato. Se interessasse a qualcuno ho scritto un rituale apposito!
 
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2 replies since 2/8/2010, 12:37   966 views
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