La sottomissione della donna nelle religioni antiche, ragioni, riflessi religiosi, un po' di chiarezza

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··Aliuvaisera··
view post Posted on 7/2/2017, 23:40 by: ··Aliuvaisera··




Non sono d'accordo sulla ripartizione dei sessi qui definita. Certo sarebbe difficile vedere una donna inquadrata in una formazione oplitica coperta di bronzo, ma questo non significa che le sue diverse potenzialità non possano trovare ottime applicazioni anche in ambito bellico. Potenzialità diverse, non minori. Ad esempio, sembra appunto che il vecchio pregiudizio secondo cui le donne preistoriche si limitassero a raccolta & masserizie finirà presto per essere archiviato: niente più "Wiiiilma, portami la clava!". Le donne cacciavano già allora, ben prima di Didone, Camilla o Zenobia. Le donne di Argo, guidate da Telesilla (che era una poetessa, non certo un amazzone) schiacciarono da sole con le armi l'esercito spartano invasore. E le stesse spartane non erano da meno, madri che in tempo di pace gareggiavano nude contro gli uomini della Grecia intera, alle Olimpiadi. E che dire delle Traci, quelle furie che recavano in battaglia falci alte quanto loro, in grado di troncare a metà un avversario? Una legione bastò a malapena a domare Budicca, che per poco non ci strappò la Britannia da sotto il naso. Anche nelle arene diedero grandi prove di se. Per non dire delle spose di lancia del gelido Nord, che misero a sacco l'Europa. E questo riferendosi al solo ambito geografico classico. Non si tratta dunque di elementi favolistici, le donne guerriere sono esistite.



Quella Romana è una cultura patriarcale, ma da qui all'accostarla ad altre società patriarcali, compresa addirittura quella giudaico-cristiana ce ne passa! Eppure se ne legge spesso e volentieri. E il bersaglio principale sembra essere il povero Catone. A riprova di ciò, viene addotta questa sua celebre orazione: "I nostri antenati volevano che le donne nulla facessero se non sotto la guida di un tutore: noi invece lasciamo che intraprendano la carriera politica e siano partecipi del Foro, delle assemblee e comizi. Cosa infatti stanno facendo per strade e crocicchi? Propugnano davanti alla plebe una proposta dei tribuni, decretano l'abrogazione della legge. Non permettetelo, cittadini! Trattenetele sotto i freni della legge, poiché le donne vogliono libertà in tutte le cose, ovvero licenza ed arbitrio. Cosa infatti non tenteranno dopo l'abrogazione della legge Oppia?" Agli occhi della contemporaneità può risultare, così decontestualizzata, una dichiarazione discutibile. Ma come rilevava Marzio, esprimere giudizi morali con il senno di oggi su accadimenti di migliaia di anni fa è da idioti: non è per fare del relativismo etico, ma ogni azione va giudicata nel contesto in cui viene commessa. E la Storia non si assorbe neppure a bocconi. La Lex Oppia era solo l'ultima di una serie di leggi suntuarie, volte ad arginare il lusso e la vanità di donne E uomini: erano previste misure atte a limitare anche le vesti maschili, o il numero dei convitati e la quantità di cibi prelibati ammessi ad un banchetto. Questo inizialmente per indirizzare allo sforzo bellico tutte le risorse disponibili di una società in lotta per la sua stessa sopravvivenza; in seguito, per tutelare la propria identità culturale e per frenare la corruzione che il lusso inevitabilmente comporta. La misoginia, qui, non c'entra nulla. Oltre a questo viene solitamente riportato il preciso divieto per le donne di presenziare ad un rito a Silvano (presente nel De Agri Coltura); questa prescrizione è attestata anche presso autori successivi come Giovenale (VI, 447) e Agostino (De Civ. VI,9). E le donne non potevano nemmeno sacrificare presso l'Ara Maxima di Ercole o, secoli più tardi, a Mitra. Ma è pur vero che agli uomini era interdetto l'accesso ad alcuni templi (quello di Diana nel Vicus Patricius, ad esempio), la partecipazione a determinate festività (come a quella di Giunone Caprotina) e ad interi Culti (come a quello di Bona Dea). Questo non rende Catone un autore misogino, nè rende misogino Silvano o misandrica Bona Dea o le sue devote. Semplicemente, l'appartenenza di genere consente a volte una maggiore "compenetrazione" con l'essenza di determinate divinità. Sulle donne Catone non è che abbia detto poi chissà cos'altro, si riconoscono solo questi altri due passi che ovviamente ci si guarda bene dal citare. Rideva bonariamente del fatto che: "Tutti gli uomini comandano sulle loro donne, noi su tutti gli uomini, le nostre donne su noi" (Plut, Cato maior VIII, 4). E uno dei suoi massimi vanti era quello di non aver mai usato violenza sulla moglie: "Catone era solito dire che chi colpisce la moglie o il figlio, pone le mani addosso alle cose più sacre. Diceva anche che era da lodare più un buon marito che un potente senatore; e del vecchio Socrate non ammirava null'altro se non il fatto che si comportò sempre con gentilezza e mansuetudine nei confronti di una moglie spigolosa e di figli un po’ stupidi" (Plutarco, Cato maior XIX, 7). Sì, l'autorità del Pater Familias era incontestabile, ma tale autorità oltre alle donne si estendeva a tutti gli altri membri maschi della famiglia. Il fatto che non disponiamo di normative dell'epoca volte ad arginare la violenza domestica non significa che tali dinamiche fossero la consuetudine, ma semplicemente che i Romani non sentivano la necessità di legiferare su tutto lo scibile. Quegli stralci riportati sopra rappresentano il punto di vista del campione per antonomasia del conservatorismo romano. 'Mazza che cattivoni, eh.

Per tornare alla tematica di questo post, altro esempio della disinformazione in materia è il caso delle vestali ree di aver perso l'imene: chissà perchè vengono citate sempre e solo queste, misconoscendo il ruolo FONDAMENTALE e i privilegi di cui godeva tale sacerdozio in seno alla società Romana. Sì, le colpevoli di tale reato venivano inumate vive e lasciate morire di inedia; una morte che ai barbari contemporanei risulta particolarmente crudele, ma che all'epoca era ritenuta un privilegio raro, tanto da essere destinata (oltre alle Vestali) ai condannati di sesso maschile degni di particolare riguardo. Chi invece andava incontro ad una sorte più cruenta e ignominiosa era l'uomo che aveva osato profanare quella sacerdotessa: plebeo o rampollo della più antica Gens che fosse, veniva frustato fino all'osso in pubblico con un cappio al collo. A morte: era la pena riservata agli schiavi più infami. Ma della morte di un cazzomunito, se mi passate il termine, la polemica antistorica non tiene ovviamente conto, altrimenti conferirebbe tutt'altra connotazione alla faccenda. Le vestali, donne sui iuris (cioè non sottoposte al potere di un uomo, se non del Pontefice Massimo - a lui competeva infatti il controllo di tutti i sacerdozi dello Stato, maschili e femminili- ma anche in questo caso nominalmente, tant'è che nemmeno a lui era concesso di entrare nel sacrario di Vesta).. non erano donne. Smettevano di esserlo una volta "capte" per diventare un'altra cosa, quasi una manifestazione terrena della divinità, e riacquistavano il loro status di persona al compimento dei trent'anni di sacerdozio: la manifestazione vivente di Giove, il Flamine Diale, non aveva un tale privilegio, la sua consacrazione era a vita o fino a quando non veniva a mancare la sua sposa, la Flaminica (giusto per ribadire il ruolo centrale della donna in seno alla religione di Stato; ruolo sminuito, nella capitale ignoranza di certi polemisti da social network). Ogni loro atto era consacrato a Vesta, e il loro ruolo per le sorti dello Stato era talmente vitale da rendersi necessario un sacrificio espiatorio: come tale va intesa la sua punizione e quella del suo complice. Insomma, alla luce di questi esempi (e molti altri se ne potrebbero fare) direi che tale idea di sottomissione, se non gettata alle ortiche, vada quantomeno rivalutata. Le competenze della donna Romana, tra insopprimibile sussidarietà e vera e propria centralità, erano di fatto essenziali. E come dice Marzio, ancora di più lo sono oggi.
 
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3 replies since 12/11/2016, 00:09   198 views
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