Il Ratto di Prosperina

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Circe
view post Posted on 18/8/2013, 08:58




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(Bernini)

Tratto da Le Metamorfosi di Ovidio

Non lontano dalle mura di Enna c'è un lago dalle acque profonde,che ha nome Pergo: neppure il Caìstro nel fluire della sua corrente sente cantare tanti cigni.Un bosco fa corona alle sue acque, cingendole da ogni lato,e con le fronde, come un velo, filtra le vampe del sole.
Frescura dona il fogliame, fiori accesi l'umidità del suolo: una primavera eterna. In questo bosco Proserpina si divertiva a cogliere viole o candidi gigli,ne riempiva con fanciullesco zelo dei cestelli e i lembi della veste, gareggiando con le compagne a chi più ne coglieva,quando in un lampo Plutone la vide, se ne invaghì e la rapì: tanto precipitosa fu quella passione.
Atterrita la dea invocava con voce accorata la madre e le compagne,ma più la madre; e poiché aveva strappato il lembo inferiore della veste, questa s'allentò e i fiori raccolti caddero a terra :tanto era il candore di quella giovane, che nel suo cuore di vergine anche la perdita dei fiori le causò dolore.
Il rapitore lanciò il cocchio, incitando i cavalli,chiamandoli per nome, agitando sul loro collo e sulle criniere le briglie dal fosco colore della ruggine;passò veloce sul lago profondo, sugli stagni dei Palìci che esalano zolfo e ribollono dalle fessure del fondale,e là, dove i Bacchìadi, originari di Corinto che si specchia in due mari, eressero le loro mura tra due insenature.Tra le fonti Cìane e Aretusa Pisea c'è un tratto di mare,che si restringe, racchiuso com'è tra due strette lingue di terra: qui, notissima fra le ninfe di Sicilia,viveva Cìane e da lei prese nome anche quella laguna. Dai flutti emerse la ninfa sino alla vita,riconobbe la dea: "Non andrete lontano," disse;"genero di Cerere non puoi essere, se lei non acconsente: chiederla tu dovevi, non rapirla.
Se mi è lecito paragonare grande e piccolo, anch'io fui da Anapi amata,ma fui sua sposa dopo che ne fui pregata, non terrorizzata".Così disse, e allargando le braccia cercò di fermarli. Il figlio di Saturno non trattenne più la sua rabbia: aizzando i terribili cavalli, brandisce con tutto il vigore del braccio lo scettro regale e l'immerge nelle profondità dei gorghi: a quel colpo un varco sino al Tartaro si aprì nella terra e il cocchio sprofondò nella voragine scomparendo alla vista.
Addolorata per il rapimento della dea e per l'oltraggio inferto alla fonte, Cìane ammutolì serrando nel proprio cuore l'inconsolabile ferita: tutta in lacrime si strusse e si dissolse in quelle acque delle quali una divinità insigne era stata innanzi.
Avresti visto snervarsi le sue membra,le ossa flettersi, le unghie perdere durezza; e per prime si sciolsero le parti più sottili:i capelli color del mare, le dita, i piedi e le gambe(basta un attimo per mutare in acque gelide l'esilità delle membra). Poi furono le spalle, il dorso, i fianchi,il petto ad andarsene, svanendo in rivoli evanescenti;infine in luogo del sangue vivo penetra l'acqua nelle vene in dissoluzione e nulla più rimane che si possa afferrare.
Intanto Cerere, angosciata, in ogni terra,in ogni mare cercava invano la figlia.
Mai Aurora, affacciandosi coi suoi capelli roridi,la vide in pace, mai Vespero. Accese due torce di pino alle fiamme dell'Etna, vagò senza requie,tenendone una in ogni mano, nel gelo della notte;e ancora, quando la luce del sole rese pallide le stelle,cercava la figlia da ponente a levante.
Sfinita dalla fatica, era tormentata dalla sete (a nessuna fonte aveva bagnato le labbra), quando per caso vide una capanna di paglia: bussò alla piccola porta. Ed ecco:ne esce una vecchia, che vedendola implorare un sorso d'acqua,le porse una bevanda dolce insaporita con orzo tostato.
Mentre beveva quel dono, un ragazzo sfacciato e insolente le si fermò davanti, scoppiò a ridere e la chiamò ingorda.Si offese la dea e, senza terminare di bere,gli getta in faccia, mentre parla, il liquido con l'orzo.
Al ragazzo il volto si coprì di macchie, e se prima aveva braccia,ora gli sono zampe, e alle membra mutate si aggiunge una coda; perché poi non potesse più nuocere, il corpo si contrasse sino a ridursi in misura più piccolo di una lucertola.
Di fronte alla vecchia che, inebetita dal prodigio, piange e cerca di toccarlo, egli fuggì in cerca di un rifugio, e si ebbe un nome appropriato all'aspetto del corpo, che era costellato di chiazze.
Troppo lungo sarebbe indicare tutte le terre e i mari che alla ricerca percorse la dea: le venne meno il mondo. Ritornò in Sicilia e, mentre camminando scrutava in ogni luogo,arrivò nei pressi di Cìane, che tutto le avrebbe raccontato,se non si fosse trasformata e che, per quanto volesse parlare,non aveva bocca e lingua, né altro per potersi esprimere. Ciò malgrado le fornì un indizio inequivocabile, mostrandole a pelo d'acqua una cintura a lei ben nota, che in quel punto era per caso caduta a Proserpina tra i flutti sacri.
Non appena la riconobbe, come se solo allora intuisse ch'era stata rapita, la dea si strappò i capelli scarmigliati e ripetutamente si percosse il petto con le mani. Ancora non sa dove sia, e maledice tutte le contrade della terra, chiamandole ingrate e indegne del dono delle messi,e più di tutte la Trinacria, dove aveva scoperto le tracce della disgrazia.
E lì con mano spietata spezzò gli aratri che rivoltano le zolle, furibonda condannò a morte uomini e buoi insieme, e impose ai seminati di tradire le speranze in essi riposte avvelenando le sementi.La fertilità di quella regione, decantata in tutto il mondo,è smentita e distrutta: le messi muoiono già in germoglio,guastandosi per troppo sole o troppa pioggia;stelle e venti le rovinano, con avidità gli uccelline beccano nei solchi i semi; loglio, rovi e inestirpabile gramigna soffocano il suo frumento.
Dalle acque dell'Elide la ninfa amata da Alfeo sollevò allora il capo e, scostatesi le chiome stillanti indietro dalla fronte,disse: "O madre della vergine che hai cercato in tutto l'universo,o madre delle messi, interrompi la tua fatica senza fine e per la collera non adirarti con la terra a te fedele.Non ha colpe la terra: suo malgrado si è dischiusa al rapitore.Non ti supplico per la mia patria: qui sono un'ospite;la mia patria è Pisa, dall'Elide io vengo.Straniera sono in Sicilia; ma questa regione mi è cara più d'ogni altra: ora col nome di Aretusa ho qui la mia dimora,questa è la mia terra, e tu, che sai essere così mite, risparmiala!
Perché mi sia trasferita lungo la vastità del mare per giungere in Ortigia, verrà il momento opportuno di narrarlo quando avrai superato questa angoscia e più sereno sarà il tuo volto. Per farmi passare, la terra mi schiude un cammino ed io scorrendo nei suoi profondi abissi,qui riemergo a rivedere le stelle quasi dimenticate. E passando sottoterra tra i gorghi dello Stige,ho visto laggiù con i miei occhi la tua Proserpina: triste, sì, e con l'aria ancora un po' spaventata,ma regina, suprema entità di quel mondo tenebroso,consorte incontrastata del re dell'Averno".
A quella rivelazione la madre rimase di sasso e a lungo come paralizzata, ma poi quando lo stordimento fu sostituito da un dolore non meno profondo, col cocchio si lanciò verso gli spazi del cielo.
Lì, rannuvolata in volto,piena d'odio, si parò coi capelli arruffati davanti a Giove e: "Per il sangue mio e tuo" disse, "vengo, Giove,a supplicarti. Se non v'è riguardo per la madre che il padre abbia almeno a cuore sua figlia; e spero che l'averla partorita io non t'induca ad occupartene di meno.
Ecco che dopo tanto cercare l'ho al fine ritrovata,se chiami ritrovare il perdere con più certezza o chiami ritrovare il sapere dove sia finita.
Rapita? pazienza,purché lui me la renda: tua figlia non può avere un predone per marito, anche se come mia figlia lo potesse!".
Rispose Giove: "Da comune affetto e obblighi siamo legati entrambi a questa figlia; ma se vuoi dare alle cose il giusto nome, non è un affronto ciò che è accaduto,è frutto dell'amore; ed io non mi vergognerò di un tale genero,se anche tu, dea, lo vuoi. Pur se il resto gli mancasse, che titolo essere fratello di Giove! Ma il resto poi non gli manca,e inferiore mi è solo per sorte.
Però se desideri tanto che si separino, Proserpina rivedrà il cielo,ma a una condizione precisa: che lei non abbia laggiù toccato cibo alcuno con la sua bocca: questo hanno decretato le Parche".
Così disse; ma se Cerere era certa di riottenere la figlia,non lo permetteva il destino, perché la vergine aveva rotto il digiuno: mentre innocentemente si aggirava in un giardino,da un ramo spiovente aveva colto una melagrana e staccati sette granelli dal pallido involucro,li aveva succhiati con le labbra. L'unico a vederla fu Ascàlafo,che, a quanto si dice, Orfne, non certo la più sconosciuta tra le ninfe dell'Averno, aveva dal suo amato Acheronte partorito nel folto di una selva oscura.
La vide e con la sua spietata delazione ne impedì il ritorno.
Mandò un gemito la regina dell'Èrebo e mutò il testimone in uccello di sventura: irrorato dall'acqua del Flegetonte,il capo assunse becco, piume ed occhi enormi.
Sottratto a sé stesso, s'ammantò d'ali fulve,gli crebbe il capo e le unghie allungandosi s'incurvarono in artigli:a stento agitava le penne spuntategli sulle braccia inerti.Diventò un uccello sinistro, messaggero di lutti imminenti,un gufo indolente, presagio di calamità per i mortali.
Costui però s'era meritato, a quanto pare, la pena parlando troppo e facendo la spia: ma perché voi, Sirene,avete penne e zampe d'uccello, con volto di fanciulla?Forse perché, quando Proserpina coglieva fiori in primavera,voi, sapienti figlie di Achelò o, foste fra le sue compagne?
Dopo averla cercata invano per tutta la terraferma,perché anche il mare sapesse quanto eravate angosciate, ecco che desideraste di potervi reggere sui flutti remigando con le ali e, trovati gli dei ben disposti, d'un tratto vi vedeste gli arti farsi biondi di penne.
Ma perché al vostro famoso canto, fatto per ammaliar l'udito,perché al talento delle vostre labbra non mancasse l'espressione,vi rimasero volto di fanciulla e voce umana.
Quanto a Giove, arbitro tra il fratello e la sorella in lacrime,divise il corso dell'anno in due parti uguali:ora la dea, divinità comune ai regni di cielo ed Averno,vive sei mesi con la madre e sei con il marito.
 
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