24 febbraio Giorno Pagano delle Memoria

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Flavius Iulianus
view post Posted on 20/8/2013, 09:03 by: Flavius Iulianus




CITAZIONE (Eylan @ 23/6/2013, 23:25) 
è follia dover stabilire dei giorni dedicati alla memoria degli eccidi:TUTTI I GIORNI dovremmo ricordare che sono morto a milioni PER LA LIBERTà.
Libertà di essere sè stessi,libertà di costruire la propria vita,ma soprattutto per la libertà religiosa...

Io invece credo che stabilire un giorno per ricordare tutte le vittime dell'intolleranza religiosa sia utile, è un modo per ricordare tutti coloro che sono morti per restare fedeli all'Antica Religione. Bene ha fatto la Federazione Pagana a promuovere questa iniziativa

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[SPOILER


Il respiro di Seth
396 d.C, Skythopolis, Siria - campo di raccolta dei prigionieri pagani
Ippolito adorato,
la più funesta delle
profezie si è avverata. La
nostra vita, il nostro sapere
e tutto quello che, fin da
piccoli, abbiamo imparato a
conoscere e ad amare è profanato
o annientato. I nostri
dei sembrano essersi ritirati per sempre, offesi dall’orrore
che pervade ogni cosa. Sento che anche il
mio tempo su questa terra si sta consumando. E
non potrebbe essere diversamente. Alla prossima
luna nuova, dopo il tramonto, quando il buio sarà
più profondo e il villaggio sarà rischiarato dal barlume
spettrale delle torce, quando i fantasmi degli
innocenti si aggireranno pallidi e muti per queste
contrade, anch’io e le mie compagne di prigionia
saremo condotte nella Casa della Verità. Così i nostri
carcerieri chiamano la camera delle sevizie, un
sotterraneo da cui ogni tanto trapelano urla raccapriccianti
di dolore e terrore. Da lì quasi nessuna
ritorna. I carnefici venuti da dove spira il vento di
Borea compiono i loro misfatti sempre nella profondità
delle tenebre: odiano la luce e temono che il
sole e la luna siano testimoni delle loro scelleratezze.
Le poche donne tornate da quelle segrete sono
irriconoscibili: le loro labbra rimangono chiuse, i
loro occhi sono offuscati da un velo torbido, i loro
movimenti privi di armonia. Come se qualcuno
avesse risucchiato il loro soffio vitale e lo avesse
sostituito con un demone maligno e pigro. Non so
dire se sopravvivere in queste condizioni sia un bene.
Non so dire se sopravvivere a tale momento sia
un bene.
Questo è il luogo dove mi hanno portata, assieme
alle altre sacerdotesse del tempio di Eleusi e
tutte le giovani donne di Atene. Dopo l’incendio
della città, ci hanno imbarcate e chiuse in una stiva.
Abbiamo navigato per due giorni e tre notti in cui
non abbiamo ricevuto cibo né acqua. Poi ci hanno
fatto marciare per un giorno e una notte. Dalle stelle
ho intuito che andavamo a oriente. Le più deboli
di noi non hanno resistito e sono state abbandonate
per la via. Ora non so dove mi trovi. Ci tengono
separate dalle prigioniere più anziane perché non ci
raccontino quello che sanno. Gli uomini sono confinati
dietro un’alta palizzata e non li vediamo.
Sentiamo soltanto le loro grida di dolore.
Ma non devi preoccuparti per me: i misteri
della Grande Madre Demetra – sia sempre sacro il
suo nome – mi sono stati rivelati. Quindi conosco
la beatitudine che mi attende dopo la morte e le an-
drò incontro con animo fermo. Non provo la paura
che attanaglia l’animo dei non iniziati. Le mie
membra tremerebbero come foglie se non avessi la
certezza che, quando avranno finito di martoriare il
mio corpo, suonerò e danzerò nella pace dei Campi
Elisi, in luoghi pieni di splendore, aria pura e luce.
Il dolore sarà breve come un respiro se paragonato
alla felicità eterna cui vado incontro.
Ti scrivo una missiva
che affiderò a uno dei
nostri sorveglianti. Non è
uno di loro: è un greco. Ha
accettato di portare all’imbarco
più vicino i rotoli
miei e di alcune mie compagne.
Sono riuscita a
commuoverlo con le mie
preghiere e a corromperlo
con pochi pezzi d’oro che
ho ingoiato prima che i
soldati ci spogliassero per
abusare di noi e metterci in
catene. Ho usato fuliggine
e grasso come inchiostro,
una penna di gallina come
calamo, una striscia della mia tunica come pergamena.
Voglio che tu sappia che il mio ultimo pensiero
è stato per te. Voglio che si conosca come
hanno trasformato la nostra terra e cosa dobbiamo
patire dopo che l’imperatore Teodosio ci ha condannati
come odiosi eretici, stupidi, ciechi e pazzi,
e ha abolito le sacre Olimpiadi, l’unica speranza
che avevamo di sentirci ancora greci e uniti in un
comune destino. Non possiamo più nemmeno computare
il tempo alla maniera dei nostri avi. Bruciano
le biblioteche, distruggono gli arredi sacri, trasformano
i templi delle nostre divinità in sale da
gioco, lupanari o stalle. Chi pratica i riti degli dei
olimpi è considerato un nemico pubblico e messo a
morte. Per ridurci al silenzio tagliano le mani agli
scribi, la lingua agli oratori
e la testa ai filosofi. Ma tu
devi sapere quale sia la
nostra sorte e farla conoscere.
Ora il nostro popolo è unito
soltanto dalla morte.
Nestorio lo aveva previsto:
prima che i soldati lo mettessero
al rogo perché rifiutava
di sputare sul fascio
di spighe d’orzo sacro
a Demetra, pronunciò un
alto vaticinio: “Un nuovo
Ade rapirà la vergine Persefone
e la riporterà per
sempre nel regno dei morti.
La Grande Madre piangerà lacrime scarlatte per la
figlia perduta, la terra non darà frutto, la fanciulla
non berrà più il sacro ciceone di acqua e orzo. La
tetra caligine cadrà sull’uomo e il simile berrà il
sangue del simile.”
Così è accaduto. Il nuovo Ade ci ha portate
qui. È un guerriero che chiamano Alarico, subdolo
e scaltro più di Odisseo, e pernicioso e malvagio
più di Tifone. Ha forzato le Termopili e comanda
l’orda disumana dei suoi Goti assetati di sangue,
più devastanti della peste, più crudeli dei Persiani,
più terribili della Chimera. Alla testa di quei demoni
cavalca una schiera di cristiani vestiti di nero che
inalbera come stendardo lo Jeshua crocifisso. Hanno
messo l’Ellade a ferro e fuoco. Come cinghiali
famelici hanno sconvolto la nostra terra, sono entrati
in ogni tempio, in ogni casa, in ogni magazzino.
Saccheggiano e abbattono senza pietà, come
furie, come se cercassero qualcosa che non trovano
mai. Quando abbandonano un luogo lasciano solo
rovine fumanti e fiumi di sangue. Uccidono gli
uomini e portano con sé le donne.
Temevo di diventare la schiava di uno di
costoro o di servire in un lupanare. Ma sarebbe stato
un dolce destino in confronto a quanto si dice
accada qui alle donne. In questo villaggio, che hanno
trasformato in un enorme carcere, ho incontrato
solo femmine non battezzate, gentili come ci
chiamavano prima di definirci pagani. Si dice che
bevano il sangue delle loro vittime e si cibino dei
loro corpi, come fanno con il loro dio; oppure che
prendano le giovani donne, tolgano loro il sangue e
lo mettano in grandi anfore che chiudono con il
piombo fuso e inviano a Settentrione come nutrimento
per i loro soldati. Altre raccontano che abbiano
costretto alcune di noi a bere il sangue di altre
donne per allontanarle dal giusto cammino e
iniziarle alle loro credenze barbare. Questo è, per
noi, il sacrilegio tra i più spaventosi, orribile soltanto
a dirlo. Come sai, nel tempio facemmo voto di
non mangiare creature con il sangue caldo: la dea
impone di non alimentare la vita con altra vita.
Credo che non potrei sostenere questo peso. Se
Demetra non mi avesse sciolto dal timore della fine,
questa attesa sarebbe per me tanto insopportabile
da togliermi la vita. Ma se penso a quanto mi
attende, temo di perdere il senno come le mie compagne
di sventura tornate dalla Casa della Verità.
Non mi sono mai sentita tanto sola. Il nostro mondo
è alla fine. L’unico conforto rimasto è immaginare
di parlarti e che il mio ricordo sopravviva in te
attraverso questo messaggio. Voglio che tu pensi a
me mentre amministro felice i sacri misteri di Eleusi,
prima che Alarico – sia sempre esecrato il suo
nome - vi piombasse
come una furia a distruggere
il nostro
passato.
Il sole sta declinando.
Mancano
quattordici giorni al
novilunio: allora inizierà
ancora una volta
l’orribile rituale
notturno. Questa mattina
ho saputo cosa
mi attende: una delle
giovani che aspettava di entrare nella Casa della
Verità è riuscita a sgattaiolare tra le nuove arrivate
e a tornare da noi. Ha guadagnato un mese di sofferenza.
Ha potuto intravedere qualcosa. A tutte le
donne che vi entrano fanno bere il sacro ciceone di
acqua e orzo e poi le introducono in una sala più
interna schernendole e percuotendole. Lì saremo
sottoposte a chissà quale terribile supplizio. Hanno
preso il nostro corpo e ora vogliono il nostro sangue:
lo abbiano pure! Ciò che mi addolora è che
deridano il rito dei sacri misteri in cui tanti di noi
hanno trovato consolazione, giustizia e uguaglianza.
Non posso dimenticare tutte le volte in cui io
stessa preparai con gioia la sacra bevanda per celebrare
i Grandi Misteri. Mithras Hilarius affidò a me
l’alto incarico perché il mio corpo non ha mai tollerato
di assumere l’orzo.
Sai anche tu che, fin da
piccola, quando lo accostavo
alla bocca era come
se un demone invisibile
mi colpisse, le mie viscere
si rivoltavano e il mio
temperamento si faceva
malinconico per molti
giorni. Per questo mi
aveva scelta: diceva che
un dio mi aveva apposto
il suo suggello per significare
che il mio spirito era puro, le mie intenzioni
incontaminate e le mie mani disinteressate. Mi raccomandò
anche di tacere con tutti di questa interdizione
che gli dei mi hanno imposto perché, disse,
“Verrà il giorno in cui colei che non beve la linfa di
Demetra, berrà il sangue di Dioniso. Costei è stata
eletta dalla divinità per accogliere la morte in vita e
conoscere la vita oltre il tempo. Sarà oppressa da
un compito gravoso e smisurato, sarà contesa tra il
bene e il male e rischierà di perdersi tra gli artigli
del dio del furore, della violenza e della tempesta.”
Soltanto oggi capisco cosa voleva dire. Soltanto
ora che ti scrivo da questo luogo scellerato,
soltanto ora che riesco a ordinare i miei pensieri e i
miei ricordi, alla fine di tutto, comprendo il significato
delle profezie: dovrò bere il sangue di una mia
sorella perché il mio e il nostro tempo è alla fine e
sarò contaminata dal miasma della più orribile tra
le empietà. Vogliono toglierci anche l’ultima speranza
di morire puri.
Quando toccherà a me,
non potrò nascondere il
mio segreto: si accorgeranno
che il mio corpo è
segnato dall’interdizione
a bere l’orzo. Sono io colei
che sarà contesa tra il
bene e il male? Sono io
colei che si perderà tra gli
artigli del dio del furore?
Allora spero che la morte
giunga presto a sciogliermi
da queste pene. Voglio che sia così. Questo
è il mio destino.
Ti abbraccio forte, fratello mio caro. Spero
che questo scritto ti trovi in vita.
Ci incontreremo nell’aldilà.
Addio per sempre.
La tua amata Deianira.
* * *
Prima che si facesse buio, un ufficiale fece
capolino dalla porta della capanna. Una fanciulla
gli consegnò alcuni rotoli di stoffa e un piccolo involto
che nascose sotto il pettorale di cuoio. Richiusa
e sbarrata la porta, il soldato attraversò il
campo senza farsi notare e uscì dal villaggio nell’oscurità.
Camminò per un breve tratto fino a dove
aveva nascosto una cavalcatura. Vi montò in groppa
e raggiunse una tenda dove era atteso. Consegnò
le missive a un uomo molto anziano il quale le
svolse una alla volta con gesti impazienti e le lesse.
Le riconsegnò al soldato tutte tranne una.
- Bene! Questa la prendo io. Le altre falle avere
ai destinatari. Tieni pure i pezzi d’oro. Chi deve
sapere, saprà della tua devozione. Puoi andare.
Il soldato fece un rapido dietrofront e si dileguò
soddisfatto. L’uomo fece convocare il proprio
luogotenente e gli disse con gravità:
- Scegli nove commilitoni tra i più fidati e
partite immediatamente. Avrete oro e salvacondotti.
Volate sulla costa e imbarcatevi per Corinto. Una
nave veloce vi attende. A Corinto cerca il filosofo
Sinesio, serve la nostra causa e vive sotto le mentite
spoglie di un vasaio. Gode della fiducia dei nuovi
arrivati. Lo troverai al quartier generale delle
truppe che sono giunte dall’Italia, nella basilica
Giulia presso la fontana di Peirene. Rimetti questo
mio scritto nelle sue mani, e di nessun altro, a costo
della vita. Non devi fallire. Dovrai dirgli a voce
queste parole: prima che Selene si congiunga con
Helios. Sinesio capirà e saprà cosa fare. Rimarrete
lì ad attendere ordini da lui.
Quindi prese un brandello di pergamena raschiato
già molte volte e, prima di sigillarlo, vi
scrisse sopra poche parole:
“Dal campo
di Skythopolis in Siria.
a Stilicone
comandante
generale delle Armate
romane in Oriente
L’abbiamo trovata.
Un amico dell’Ariete”
 
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